Un racconto a puntate: ogni settimana verrà pubblicato un nuovo capitolo del racconto su questa pagina

L’ALTRA FACCIA DELLA COMETA

Punti di (s)vista

A cura di Alessandro Morbidelli

Racconto collettivo da Punti di (s)vista – Laboratorio di scrittura creativa per adolescenti organizzato dalla Cooss Marche

Nuova puntata:

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AMI – 13 anni

(Alma)

“Ami, vieni, dobbiamo andare a scuola…”
“Sì, Jun. Sto incartando il panino per il pranzo. Ecco il tuo, è al tacchino e insalata, ti ho messo una mela nel porta pranzo”.

“Grazie, la mamma ha preso la macchina?”
“Sì, le ho preparato un panino con il burro d’arachidi e la marmellata, lo sai che odia le verdure”.

Io e mia sorella ci avviamo verso la scuola sapendo di dover subire quelle interminabili ore di chiacchierate futili con la nostra insegnante. L’unica cosa che mi rassicura è sapere di contare su Haruto, siamo amici da prima del…
“Ciao Ami, come va?”
“Io tutto bene, come sta nonna Kiyomi?”
“Sempre meglio, ieri mi ha chiesto di giocare con la Play”.

DRIN!!!
Suona la campanella, chiacchiero del più e del meno con Haruto, entro in classe: le ore durano mesi, sono interminabili, ma finalmente usciamo. Io e Haruto aspettiamo che Jun esca, quelli della terza escono più tardi. Tutti e tre andiamo a mangiare al parco, ci piace vedere gli adulti che fanno lo scivolo. Di pomeriggio andiamo in biblioteca, non ci hanno assegnato i compiti come al solito; così prendo un libro, la settimana scorsa è toccato a “Orgoglio e pregiudizio”, un po’ prolisso, ma interessante.

Questa settimana più contemporanei e patriottici: “Dance dance dance”, di Murakami. Jun ha i compiti, la sua insegnante è più giovane. Amiamo stare in biblioteca. Dopo aver passato circa due ore rifugiandoci nei libri, decidiamo di fare una passeggiata verso il tempio. L’odore di ciliegi è inebriante, riempie l’aria come il vapore di una tazza di tè verde. Lungo la strada per il tempio prendiamo un bouquet di crisantemi. Haruto mi prende un giglio mentre sono impegnata nella scelta dei fiori più adatti. Sapeva che l’avrei fermato se l’avessi visto. Lasciamo il bouquet come offerta. Jun stasera va a casa di Rina. Haruto mi accompagna a casa. Stasera però prendiamo una strada diversa, quella che passa davanti al cinema, i cartelloni sono zeppi di cartoni animati. La settimana scorsa siamo andati a vedere “Il mio amico Totoro” con la mamma, le è piaciuto tantissimo.
“Ehi, Ami, ti faccio vedere un posto, ti piacerà!”
“Va bene mi fido”.

Mentre il sole tramonta ci incamminiamo in un piccolo sentiero circondato da canne di bambù; la luce calda, che preannuncia l’estate, le trapassa e mi sfiora la pelle come un caldo abbraccio. Il sentiero è sempre più ripido ma finalmente arriviamo in un piccolo spiazzo baciato dal sole. Mi avvicino alla sporgenza: da lì si vede tutto e magicamente tutte le preoccupazioni svaniscono – cosa preparare per cena, se avevo dato o meno i croccantini al gatto, se la mamma aveva ricevuto lo stipendio e lo aveva già speso tutto per comprare la PlayStation – tutto svanisce. Mi sento così piccola. Mi giro per ringraziarlo di avermi portato nel posto più bello di sempre e Haruto mi abbraccia, mi porta verso di sé e mi bacia. Le sue labbra morbide sfiorano le mie e per un attimo, un attimo soltanto amo la mia vita e mi rendo conto di quanto sono fortunata.

Se sei curioso di sapere come continua, torna a trovarci giovedì prossimo!

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Le scorse puntate:

PROLOGO

Con il passaggio in prossimità della Terra della cometa X-Æ 12, la vita quotidiana di tutti gli esseri umani cambiò radicalmente.

I bambini, dalle menti plasmabili e in continuo divenire, diventarono noiosi e poco sognatori, proprio come erano gli adulti prima del passaggio della cometa. Questi invece diventarono spensierati e ingenui, proprio come erano dapprima i bambini.

 

ALEX – 12 anni

(Alma, Benedetta, Elena, Esma, Fortuna, Gloria, Pietro, Sofia, Yasmine)

Mi chiamo Alex. Ho dodici anni.
“Alex! Svegliati!”
Tutte le mattine mi sveglio sentendo la voce stridula di mia madre che mi chiama. Solo dopo un po’ entra la governante con i miei  vestiti in mano. Di solito lei mi saluta, ma io non rispondo, prendo solo gli abiti.

Dopo essermi vestito esco dalla mia spaziosa stanza e mi avvio verso la sala da pranzo, scendendo dalle scale a chiocciola rivestite di marmo bianco, molto lucide. Appena entrato nel salone da pranzo mi siedo nel mio solito posto. La tavola è imbandita di prelibatezze dolci e salate. Dopo essermi saziato, vado nel salone, attraverso un altro corridoio e sono finalmente pronto a ricevere le mie solite lezioni mattutine con il mio professore privato.

Solo che stavolta è diverso: passano un po’ di minuti, ma dal portone non vedo entrare nessuno.
All’improvviso qualcuno bussa: “Avanti” dico in modo molto brusco, come faccio abitualmente.
“Alex, oggi il tuo professore non sarà presente, non hai visto il notiziario?”
“Quale notiziario?” rispondo molto scocciato dalla situazione.
“Hanno annunciato che passerà una cometa visibile a occhio nudo.”
“E quindi?”
“E quindi il tuo professore non potrà venire, è una cosa che non capita ogni giorno! Guarda fuori dalla finestra, tutti stanno attendendo la scia luminosa della cometa”. Mi avvio verso la finestra e tra le innumerevoli nuvole che si trovano nel cielo intravedo un piccolissimo punto grigio che lascia una lunga scia di fumo denso che oscura il cielo. Poi, all’improvviso, il nulla.

Apro gli occhi, ancora appiccicosi, e mi trovo disteso sul pavimento freddo e polveroso del salone.
Non mi rendo conto di niente fino a quando non sento l’assordante suono dei clacson e le macchine che si schiantano da una parte all’altra del marciapiede. Corro nella sala da pranzo e vedo coloro che fino a dieci minuti fa erano i miei camerieri giocare con i miei giocattoli, sorridenti e spensierati, come se fossero ritornati alla loro infanzia.

Scioccato e senza parole corro dalla mia governante: “Signorina Murphy, cosa sta succedendo?” chiedo frustrato.
“Ba ba ba ba”
“Ma cosa sta dicendo?”
“Ba ba…”
Non capisco cosa sta succedendo, sono ancora più confuso. Perché non parla adeguatamente?

Voglio capirci qualcosa di più, ma per farlo ho bisogno di trovare mia madre. Mi dirigo verso il corridoio e provo a chiamarla.
Nessuna risposta. Provo una seconda volta. Niente, solo un pianto continuo. Raggiungo il suono proveniente dalla stanza di mia madre. Apro la porta e la vedo seduta per terra con le lacrime agli occhi. Le chiedo cosa abbia.
“Mi sono fatta la bua! Aiutami!”

Sono esterrefatto da questo accaduto, non capisco cosa sia successo a mia madre. Non posso restare fermo senza fare niente, devo prendere una boccata d’aria. Esco di casa preoccupato e sempre più angosciato. Ma appena sono sul marciapiede vedo il caos che invade le strade della città. Ho bisogno di spiegazioni e così mi allontano da questo luogo pieno di trambusto. L’ansia pian piano pervade tutto il mio corpo e così velocizzo gradualmente il passo fino a correre ma, mentre svolto l’angolo, mi imbatto in uno sconosciuto. È inevitabile lo scontro.

Alzo lo sguardo e vedo un uomo abbastanza giovane che mi fissa. Mi aiuta a rialzarmi e corre verso la strada. Vedo arrivare una macchina da lontano, così cerco immediatamente di fermarlo: “Fermati!”, grido all’improvviso. L’uomo si gira di scatto e con occhi spaventati mi viene incontro. Provo a capire perché si sia fiondato verso quella direzione. Capisco subito, vedo un parco. “È lì che volevi andare?” gli chiedo indicando il luogo. Lui ancora impaurito fa un cenno con la testa ed io, provando un senso di responsabilità, lo accompagno tenendolo per mano. Arrivati al parco l’uomo si mette a correre verso l’altalena. Io la prendo con più calma e cammino lentamente, pensando tra me e me. Mi siedo anche io sull’altalena e vedo quanto sia spensierato l’individuo accanto a me.

Mentre lui si dondola felicemente io, seduto sull’altra altalena, penso a mia madre. L’ho lasciata sola, che cosa starà facendo in questo momento? Starà bene? È la prima volta che sento questo senso soffocante, che mi stringe il cuore. Guardo ancora una volta lo sconosciuto ed esclamo: “Qualcosa è cambiato”.

 

OLIVER – 36 anni

(Alma, Benedetta, Elena, Esma, Fortuna, Gloria, Pietro, Sofia, Yasmine)

“Blue-jean baby”.
Sono le 6:00 e queste sono le parole che ogni mattina mi fanno alzare dal letto. Faccio colazione: latte e biscotti integrali. È lo stesso pasto che mia nonna mi portava a letto quando ero malato. Mentre mi accingo al bagno sento bussare alla porta. Mi viene in mente che è l’inizio del mese e mi deve ancora arrivare il nuovo numero di “American Science”. Apro e di fronte mi ritrovo proprio chi stavo aspettando: “Lei è Oliver Coffy?” domanda il postino. Non rispondo ma annuisco. Mi porge la rivista e abbasso lo sguardo per vedere la copertina. “Nuove frontiere nella tecnologia della coltura del mais” è il titolo di questo numero. In basso a sinistra leggo “Nuove notizie riguardo la cometa X-Æ 12”. Sento il rumore di passi. Rialzo lo sguardo: il postino se n’è già andato senza salutarmi, come al solito. La mia attenzione torna alla copertina.

Leggo un piccolo riquadro, di cui pochi si accorgerebbero; il mio cuore inizia ad accelerare, sento i battiti nelle tempie, dieci anni della mia vita, dieci anni della mia vita sprecati, dieci anni della mia vita resi insignificanti da quattro neolaureati. Tutte le mie ricerche, tutti quei giorni passati sui libri non sono serviti a nulla. Sono riusciti a confutare la mia tesi, e l’hanno fatto pubblicamente con un articolo che mi mette in ridicolo. Mi serve una boccata d’aria, vi prego, datemi aria; salgo nell’ascensore senza chiudere la porta di casa e osservo il mio sguardo allo specchio, gli occhi lucidi, un nodo in gola. Riesco solo a pensare a quanto odio me stesso, voglio sparire e se lo facessi nessuno se ne accorgerebbe. Il giardino è al piano terra ma non so perché clicco il 7, appena si aprono le porte entra la luce, passo dopo passo mi avvicino al muretto, vi salgo sopra, ci sono così tanti palazzi e così tante persone sotto di me. Vorrei cadere nel vuoto, sto per farlo, una forza mi spinge all’indietro, vedo solo buio attorno e mi addormento.

Un suono forte, forse una porta che sbatte, e la luce del sole mi  svegliano, c’è un piccione che mi fissa a pochi metri da me. Ho un forte mal di testa, ma questo non mi impedisce di alzarmi di scatto e sentire una gran voglia di acchiappare il piccione che vola via non appena mi alzo. Un po’ deluso mi guardo attorno: da qui posso vedere tutta la città, non me ne ero mai reso conto. C’è un parco giochi poco distante dal supermercato. Mi viene da sorridere solo a vederlo. Scendo le scale così di fretta che quasi cado.

Arrivo in strada, corro per il marciapiede e, quando attraverso, non guardo nemmeno se stanno passando le auto. Arrivo davanti al supermercato, faccio per svoltare l’angolo senza accorgermi di chi ho davanti, l’urto è inevitabile. È un bambino. Cade per terra dopo lo scontro.

Lo aiuto a rialzarsi e riprendo a correre fino a quando non sento urlare: “Fermati!”. Ritorno da lui e mi dice: “È lì che volevi andare?”, indicando il parco. Annuisco. Mi prende per mano e mi aiuta ad attraversare e gli chiedo se vuole venire a giocare con me. Il bambino sembra confuso e non capisco perché, ma accetta. Arrivati al parco corro verso l’altalena, ma voltandomi noto che il bambino è rimasto indietro. Come fa ad essere così tranquillo? – penso tra me e me – Io non vedo proprio l’ora di giocare. Iniziamo a dondolarci e gli urlo: “Chi arriva più in alto vince!”. Lui fa ancora quell’espressione confusa e io di nuovo non capisco, forse non è così simpatico come pensavo.

Dondolando mi giro verso il mio nuovo amico. Nel medesimo istante diciamo entrambi: “Qualcosa è cambiato.”

 

WILHELM – 21 anni

(Pietro)

Ci fu un tempo in cui l’essere umano era ciò che doveva essere, quando il tempo non era nemico della visione che l’uomo aveva dell’Universo.

Mi chiamo Wilhelm, sono un fisico e sto per suicidarmi. Questa decisione così drastica è la conseguenza di tanti fattori. Ma andiamo con ordine.

Cominciò tutto quel funesto giorno. Ero in gita scolastica nella capitale. Ricordo ancora il cielo azzurro. D’un tratto una luce spezzò la quiete e da lì il mondo andò a rotoli. Oggi chiamiamo quel giorno la Grande Luce. Circa tre mesi dopo nacque il WCO (World Coup Organization). Era un gruppo militante che intendeva prendere il potere in tutti i paesi del mondo governati dagli adulti. Il fondatore, l’appena undicenne Martin Karlsberg, aveva incitato tutti i popoli del mondo a ribellarsi per favorire l’ascesa di politici bambini più coscienti. Questa voglia di ribellione e di riscatto sociale era data dal fatto che dopo la Grande Luce, e quindi dopo che i bambini avevano iniziato a pensare da adulti e gli adulti da bambini, i governi del mondo, rimasti quelli di prima, avevano perso la loro coscienza da adulti e avevano iniziato a provocare guerre atroci in tutto il mondo.

Anche dopo che il WCO diresse un golpe globale (e riuscì nel suo intento) le atrocità non finirono: i bambini che pensavano come adulti, dopo essere diventati politici, continuarono i conflitti tra gli stati, provocando un mondo peggiore di quello che si aveva in precedenza.

La mia opinione riguardo questo è che un bambino, anche se pensa come un adulto, rimane in possesso pur sempre di quella parte dell’intelletto dell’uomo che non è il pensiero e che  caratterizza la sua mente. Quanto a me, ho potuto studiare Fisica e portare avanti il progetto di Oliver Coffy, un fisico incompreso che morì in un attentato.

La sua scoperta sembrava essere stata confutata definitivamente, ma si rivelò, in realtà, essere esatta, grazie ai miei miglioramenti; mi portò a ricevere un Premio Nobel per la Fisica. Fui anche l’ultima persona a vincerne uno. Ma allora, cosa mi spinge a morire?

È la paura di perdere tutta la mia curiosità. Quando pian piano il tempo passa, io perdo sempre di più le mie capacità di vedere il Cosmo in modo brillante. Quando, tra qualche tempo, diventerò un adulto, perderò tutto quello che mi ha permesso di poter essere ricordato come uno dei più grandi geni della storia e per me pensare di vivere senza quella scintilla che mi ha permesso tutto ciò è come un salto nel vuoto.

Il mondo non tornerà mai come prima.
Ho perso tutto e tutti.
Per cosa vale ancora la pena vivere?

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RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano Alma, Benedetta, Elena, Esma, Fortuna, Gloria, Pietro, Sofia, Yasmine per essersi messi in gioco, per aver lasciato ognuno una traccia di sé nel racconto, per aver partecipato con continuità e creatività. Un gruppo eterogeneo, composto da volti familiari, perché conosciuti in altri laboratori, e nuovi, che ha saputo concretizzare al meglio il significato di gruppo inteso come qualcosa di più della semplice somma dei singoli.

Grazie anche alla cooperativa sociale COSTESS per la collaborazione e la disponibilità.

Fondamentale è stato Alessandro Morbidelli, per la conduzione del laboratorio, per l’impaginazione e l’ultima limatura.

Prezioso è stato il contributo di Andrea Rossi che ha curato la revisione finale.

 

Il racconto è stato scritto da nove ragazzi e ragazze tra i tredici e i diciotto anni che hanno partecipato al laboratorio di scrittura creativa collettiva “Punti di (s)vista” da marzo a maggio 2023, incontrandosi una volta a settimana presso il Centro Aggregazione Giovanile di Jesi gestito dalla cooperativa COSTESS.

Il laboratorio, organizzato dagli operatori di prossimità della cooperativa COOSS Marche, è stato realizzato grazie ai fondi dei progetti dei “Piani del Dipartimento Dipendenze Patologiche (Festival dell’educazione e Progetto Innovazione Prossimità e domiciliarità)” e dal “Piano regionale integrato per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio da gioco d’azzardo patologico (GAP)”, gestiti dalla Cooperativa Sociale COOSS Marche, che puntano a creare attività con obiettivi di prevenzione e di educazione non formale per la popolazione adolescente del territorio.